Ripensando il paesaggio
di Carlo Sala

Francesco Schirato indaga sotto varie forme espressive il paesaggio, come elemento primordiale della rappresentazione. Nella storia dell’arte questa vicinanza a tale tematica rappresenta un modo di cogliere l’essenza delle cose e creare una serie di rapporti che non vedono necessaria la presenza umana nella sua forma tangibile e diretta. Il primo ad aprire la strada a questo fu Giorgione nel primo decennio del sedicesimo secolo. Con La Tempesta, pose le basi a tutta la cultura occidentale per una visione autonoma del paesaggio inteso come elemento centrale, e non solo funzionale o semplice teatro di una realtà “altra”.

Schirato interpreta la realtà naturale in diverse forme espressive, che spaziano dalla fotografia all’acquarello. Quest’ultimo, è delineato da una forte componente cromatica che delinea una figurazione delicata. I toni utilizzati, creano una atmosfera rarefatta che rende suggestiva la composizione. Ogni colore posato con leggerezza sulla carta, tende a voler indagare gli aspetti emotivi. Infatti, come detto dall’artista stesso, si tratta di una “ragionata emotività”.

Se i lavori sanno trasmettere sentori contrastanti, in essi non si trasborda mai al gesto irrazionale o a una visione esitenzialistica. La carica emozionale è sempre presente in modo spiccato, ma governata all’interno di una costruzione visiva preordinata. Ogni paesaggio è delineato in modo attento e sapiente. Pur in una apparente semplicità esecutiva, sono valutati gli aspetti globali per un’architettura pensata della composizione.

Nella ricerca fotografica di Schirato, si assiste ad una visione molto rigorosa della realtà. Questa non si limita ad essere mera imitazione oggettiva, ma una visione filtrata in termini emotivi.

In questo momento, la fotografia a livello internazionale sta vivendo spinte plurali. In molte rassegne la relazione diretta con la visione realistica sembra essere svanita. Molti fotografi tentano di affermare una autorialità artistica mediante la creazione di artifizi. Mettere in piedi set, ambientazioni grottesche, talvolta barocche, perdendo così il file rouge con le potenzialità della natura. Questo in alcuni casi sembra un atteggiamento di comodo e utilitaristico, per ritagliarsi una dimensione effimera e commerciale. Vi sono ancora fotografi che negano la mistificazione dell’immagine fine a sé stessa e Schirato è uno di questi. Senza voler compiere discorsi conservatori o di sapore retrò, è evidente l’abilità tecnica del suo agire. Ma oltre tale aspetto, bisogna andare oltre e cogliere il rigore del suo scatto, la purezza delle immagine. Esaminare un luogo e racchiuderne l’essenza più profonda, gli aspetti connotati ad esso anche se non visibili in superficie. L’uomo non è mai presente nelle sue sembianze esteriori, ma certamente esso non è avulso da questo contesto. Risulta presente attraverso le palpitazioni di questi luoghi, è parte di una dimensione universale del luogo. Nei paesaggi di Schirato, è colto un attimo ben preciso, esso però non è definibile in termini arbitrari. Si tratta di un frammento che viene colto, divenendo spazio atemporale, per un’emotività che si dipana ed è immutabile.